Mi chiamo Marinella Gandossi e, quando ripenso alla mia vita, mi accorgo che ARAS ne è diventata una parte profonda. Non è solo un’associazione: è un luogo nato da un desiderio semplice e potentissimo, quello di esserci davvero per le persone.
Da un’idea al primo passo
Il volontariato è qualcosa che ho sempre sentito mio. Ho iniziato a fare ascolto telefonico in un’altra associazione, dove ho imparato molto, ma sentivo che mancava qualcosa. Avvertivo una distanza tra volontario e utente che non mi permetteva di entrare davvero nella storia dell’altro.
Io, invece, desideravo una relazione più autentica.
Così, insieme ad alcuni amici e colleghi volontari, abbiamo deciso di provare a costruire ciò che non trovavamo altrove. È nata così ARAS: senza una sede, senza mezzi, senza garanzie. Solo con la convinzione che la relazione d’aiuto potesse essere più profonda, più vicina, più umana.
Un amico ci prestò uno spazio nel suo studio: da lì è cominciato tutto.
La nostra rivoluzione: non solo ascoltare, ma “andare incontro”
ARAS ha introdotto qualcosa di nuovo: non ci limitavamo ad aspettare una telefonata, ma eravamo noi a chiamare le persone fragili, a cercarle, a far sentire loro che non erano sole.
Volevamo essere un punto di riferimento stabile, qualcuno che c’è. Sempre. Con il tempo abbiamo attivato la convenzione con il Comune di Milano, accolto nuovi volontari, fatto pubblicità sui tram. L’associazione si è allargata, ma è rimasta fedele al suo spirito originario: la relazione prima di tutto.
Un luogo che fa crescere
In ARAS non evolvono solo le relazioni con gli utenti: crescono anche i volontari. Ricordo Fabrizio che, dopo un turno, mi disse: «Quando esco da ARAS mi sento sollevato da terra».
E lo capisco: ascoltare davvero significa incontrare l’altro, ma anche incontrare se stessi. Significa scoprire una parte nuova della propria umanità.
ARAS ha sempre avuto regole chiare ma non rigide: sì all’anonimato, sì alla riservatezza, ma mai barriere che impedissero la relazione.
Perché nel nostro acronimo la parola centrale non è “ascolto”, ma relazione, ed è questo che ci definisce.
Volti, storie, legami
In vent’anni abbiamo conosciuto moltissime persone; penso a Bruna, la nostra prima utente: ci ha chiamati in un momento difficilissimo e, col tempo, l’abbiamo vista rinascere. Tante altre storie ci hanno toccato, cambiato, arricchito. E anche molti volontari, pur lasciando l’associazione per motivi di vita, sono rimasti legati a noi.
Questa continuità, questa fedeltà, è ciò che mi rende più orgogliosa: significa che abbiamo costruito qualcosa di autentico e solido.
Uno spirito che continua
Il mondo cambia, le modalità cambiano, le tecnologie cambiano, ma il bisogno di essere ascoltati resta identico. E finché ci sarà qualcuno che avrà bisogno di ascolto e vicinanza, ARAS sarà lì. Perché il volontariato non è solo dare: è condividere, crescere, trasformarsi insieme.
Dopo vent’anni posso dirlo con certezza: ne è valsa la pena. Ogni singolo giorno.